Il gallerista di Ulay, Richard Saulton, sempre al Guardian, ha detto che “era il più libero degli spiriti, un pioniere e un provocatore con un’opera radicalmente e storicamente unica, che si muove sul confine tra la fotografia e l’approccio concettuale della performance e della body art”.

 C’è stato un tempo nel quale la performance era davvero qualcosa di estremo e clamorosamente nuovo nel sistema dell’arte contemporanea. Oggi è molto più accettata nei musei, anzi è addirittura incoraggiata dalle strategie di apertura e condivisione delle istituzioni culturali più lungimiranti. Per questo è importante ricordare, nel giorno della sua morte a 76 anni per un cancro, la figura di Ulay, al secolo Frank Uwe Laysiepen, l’artista tedesco che ha legato per un importante tratto la propria carriera a quella di Marina Abramovic, ma che, al tempo della controversa affermazione delle azioni performative, ha rappresentato molto altro, un maestro,…

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